UNO STATO DI BEN-ESSERE PARTE DA UN CAMBIO DI PROSPETTIVA
Si può toccare il cielo con un dito? “Certamente no!”, sembrerebbe la risposta più ovvia. Ma ovvia per chi? Per quale piano di coscienza?
Percorriamo il cammino della vita muovendoci solo ed esclusivamente su un unico piano, senza mai valutare la possibilità di spostarci su altri livelli che sarebbero in grado di mostrarci tutt’altre prospettive, mai considerate fino ad ora. La vita dona tantissimi spunti per guardare la realtà con uno sguardo così sorprendentemente nuovo da destrutturare convinzioni che per anni hanno limitato la nostra visione. Questa immagine lo dimostra in maniera evidente: il cielo si tuffa nell’acqua che si offre da specchio, limpido, preciso e pulito a tal punto da darci l’idea di poterci immergere nell’infinito del firmamento. Ecco che allora basta raggiungere la riva del lago per poter toccare il cielo con un dito!
QUALE RUOLO AGIAMO SUL PALCOSCENICO DELLA VITA?
Immagina la vita come fosse un grande palcoscenico, dove siamo chiamati ad agire come attori di fronte alle vicissitudini che l’esistenza presenta lungo il nostro percorso. Chi sceglie il ruolo che dobbiamo ogni volta interpretare? Può sembrare una domanda banale alla quale dare una risposta altrettanto banale: siamo noi stessi a decidere!
In realtà non è esattamente così! A dettare quale ruolo mettere in scena sono le convinzioni, le credenze, le idee e i pensieri che la nostra cultura, la nostra educazione, le esperienze vissute, le relazioni che abbiamo intrecciato, il modo in cui siamo stati cresciuti hanno disseminato dentro di noi. Senza contare tutte le volte che, in modo più o meno consapevole, cediamo agli altri il potere di scegliere per noi, seguendo passivamente le loro indicazioni, certi che sappiano valutare in modo più obiettivo la situazione in cui ci troviamo. A volte addirittura lasciamo deliberatamente che sia qualcun altro a indicarci la via da percorrere, in modo da aggirare qualsiasi assunzione di responsabilità ed evitando così di porci domande che possano aprirci a molteplici possibilità che ci costringerebbero ad operare necessariamente una scelta.
Il più delle volte ci ritroviamo quindi a recitare un copione che non ci appartiene: rendersene conto vuol dire già operare un cambio di prospettiva, perché, a questo punto, diveniamo consapevoli del fatto che ciò che stiamo agendo può essere molto lontano da ciò che in realtà siamo.
CHI SIAMO VERAMENTE?
Se dunque ciò che stiamo mettendo in scena non è lo specchio della nostra essenza, ma un riflesso di tutto ciò che ci ha condizionato, verrebbe spontaneo porsi una domanda: chi sono veramente?
Il modo migliore per scoprirlo è innanzitutto provare a cambiare prospettiva, tentando di uscire da quella che Platone descrive, in uno dei cinque dialoghi della maturità in cui elabora la dottrina delle idee, come una sorta di caverna nella quale gli uomini sono legati a delle catene, che rappresentano l’ignoranza che ci inchioda al mondo del “non essere”, e sono costretti a guardare solo ciò che compare sul fondo della grotta. Questi uomini vedono riflesse sul muro delle ombre di oggetti che vengono mossi da persone poste alle loro spalle, senza poter essere viste, dietro le quali brilla un fuoco che rende possibile, attraverso la sua luce, il proiettarsi delle immagini sul fondo. In questa situazione i prigionieri della grotta pensano che le ombre proiettate sul muro siano la sola realtà esistente.
Il mito della caverna vuole che uno dei prigionieri venga costretto improvvisamente ad alzarsi e a volgere il capo, accorgendosi così che ciò che ha visto proiettate sul muro per un’intera esistenza erano solo ombre e non la realtà. Una volta liberato dalle catene, il prigioniero ha l’opportunità di risalire fino all’apertura della caverna per poter finalmente uscire; nonostante venga abbagliato da un sole accecante, che mai aveva conosciuto prima di allora, inizierà a guardare la realtà intorno a sé, dapprima riflessa nelle acque o illuminata dalla lieve luce notturna degli astri, per poi essere in grado di contemplare ogni cosa alla luce del sole, fonte di conoscenza che mostra la bellezza e la perfezione del creato.
QUANDO LA VISIONE È LIMITATA
Molto spesso quindi non viviamo la realtà di ciò che accade, ma ne facciamo esperienza solo attraverso le ombre che tutte le nostre convinzioni e credenze proiettano dentro la nostra quotidianità. Tutto questo limita in maniera esponenziale la nostra visione, proprio come accade a chi vive rinchiuso dentro una grotta dove non si ha modo di avere alcun nuovo orizzonte da esplorare e si rimane così incatenati a un pensiero unico che è proprio quello che ci costringe ad agire un determinato ruolo, frutto di quel pensiero e non della nostra essenza.
Ne ho fatto esperienza diretta grazie a una diagnosi di fibromialgia. A condizionare la mia esistenza a seguito di questa vicissitudine non è stata la malattia in sé, bensì la visione che io avevo del concetto di malattia. È stato il significato che io ho attribuito a questo evento a determinare la sofferenza che si è andata espandendo dentro di me.
A influenzare la mia realtà è stato innanzitutto il mio modo di vivere le emozioni. Di fronte ad una diagnosi di patologia, definita cronica e incurabile, ho avuto immediatamente una reazione di paura e di rabbia al contempo, che gli accadimenti della vita mi hanno portato a non manifestare. Non ero in grado di gestire ciò che provavo; o meglio, nella mia visione limitata del mondo, era poco edificante rilasciare la propria rabbia e affatto opportuno mostrarsi impauriti. Trattenere queste emozioni, pur di non lasciarle trasparire agli altri, ha notevolmente peggiorato il dolore che la fibromialgia scatena nel corpo.
Altro elemento determinante che ha condizionato il vissuto della malattia è stata l’interpretazione che ho dato a questo evento rispetto alle mie vicissitudini e alle mie credenze, con tutto quello che ne è conseguito a livello di formulazione di pensieri negativi e depotenzianti. Ero assolutamente certa che la malattia fosse uno dei peggiori incubi che si potesse manifestare nella vita di una persona e mai ho immaginato che potesse esserci un’altra visione all’infuori di quella che considerasse un evento di tale portata come decisamente avverso.
Si viene a creare così un circolo vizioso dove le percezioni che abbiamo rispetto ad un dato evento influenzano le nostre emozioni e i nostri pensieri, che vanno a condizionare il nostro comportamento, il quale, a sua volta, rafforza e determina le emozioni e i pensieri con i quali ci siamo posti fin dall’inizio rispetto a quell’evento.
L’IMPORTANZA DI CAMBIARE PROSPETTIVA
L’unico modo per uscire da questa situazione è quello di cambiare prospettiva! Riusciremo così ad operare un salto di coscienza che ci sbalzerà su un altro piano, fuori dalle dinamiche ripetitive e contorte di quel circolo vizioso.
“È proprio quando credete di sapere qualcosa che dovete guardarla da un’altra prospettiva. Anche se può sembrarvi sciocco o assurdo, ci dovete provare” (Robin Williams “L’attimo Fuggente”).
Questa frase ha il potere di insinuare un dubbio dentro di noi che è in grado di aprire la porta ad infinite domande e riflessioni che dispiegano davanti a noi altrettante infinite prospettive: e se le cose non avessero un senso di per sé, bensì acquisissero significato in base a come scegliamo di guardarle? Come potrebbe cambiare l’esperienza della nostra esistenza in questa dimensione?
Se la malattia, o qualsivoglia difficoltà, anziché un incubo che si manifesta nella mia realtà, fosse un’opportunità che la vita offre per manifestare ciò che di me mai ho osato esprimere? Come cambierebbero le mie emozioni rispetto a quello che sto vivendo? E, di conseguenza, come si modificherebbero i miei pensieri e i comportamenti che ne deriverebbero?
Porsi queste domande vuol dire necessariamente liberarsi di tutte le catene con cui ci siamo costretti e limitati per uscire finalmente dalla caverna che Platone ben descrive, per poter vedere gli eventi non come ci vengono mostrati, proiettati come ombre da altre mani, ma per osservarli alla luce del sole da tutti i punti di vista possibili. La luce a cui mi riferisco è quella della conoscenza, della curiosità, della consapevolezza, del desiderio irrefrenabile di scoprire e scoprirsi, di indagare i misteri e la bellezza che pervade e governa ogni cosa.
È così che mi sono tuffata dentro il mare infinito delle potenzialità che l’Essere Umano racchiude, andando a studiare e scandagliare proprio tutto quello che andava nella direzione opposta rispetto alle mie rigide credenze e certezze. Tanto più ero tenacemente convinta di qualcosa, tanto più la mettevo in discussione. È stato davvero sorprendente scoprire quanto poco o nulla conoscessi di me stessa, delle dinamiche che ci governano, dell’infinita bellezza e complessità del nostro corpo, delle interazioni che emozioni e pensieri hanno nella nostra quotidianità, di quanto sul palcoscenico della mia esistenza avessi messo in scena ogni sorta di attrice, tranne me stessa!
COSA SIGNIFICA DUNQUE BEN-ESSERE?
Divenire curiosi, predisporre il cuore ad accogliere, scegliere di andare incontro alla vita, anziché difendersi da ciò che ci riserva, aprirsi ad ogni sorta di conoscenza, leggere, indagare, scrutare, soprattutto ciò che sentiamo lontano da noi, guardare l’esistenza con gli occhi dell’Anima, prolungando lo sguardo e la nostra attenzione ben oltre ciò che ci limitiamo semplicemente a vedere, accorgersi delle opportunità che si celano dentro ogni vicissitudine, lasciarsi guidare dall’intuito e non esclusivamente dai rigidi schemi che la mente impone, esplorare i diversi piani dell’esistenza dai quali attingere a nuove e inaspettate prospettive: questo significa per me vivere in uno stato di ben-essere! Ossia, fare in modo che ogni accadimento che siamo chiamati a sperimentare possa divenire una grandiosa opportunità per manifestare al meglio l’unicità e l’originalità della nostra essenza.
Una visione che è molto lontana dalla semplice ricerca dello star bene! È essere pienamente sé stessi, assolutamente presenti e vivi al cospetto dell’esistenza, è darsi il permesso di sentire e sentirsi, è vedere ogni volta un inizio dentro ciò che consideriamo fine, è avere la certezza di poter toccare il cielo con un dito!
di Elsa Roberta Veniani