Sono le ore 15 del 27 aprile 2024 e mi accingo ad entrare nella Sonosfera, un anfiteatro tecnologico per l’ascolto profondo di ecosistemi e musica progettato da David Monacchi per Pesaro Città Creativa Unesco della Musica, strumento tecnologico inserito nel programma di Pesaro Capitale Italiana della Cultura 2024. Si tratta di un grande igloo nero installato temporaneamente a Milano, in occasione di CROSS VISION INTERNI durante il FuoriSalone, presso il cortile d’onere dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.
Un’installazione sonora acusticamente perfetta, isolata dall’esterno, nella quale gli ascoltatori si dispongono su sedute circolari, studiate appositamente per favorire la miglior fruizione possibile del suono.
La guida ci invita a spegnere i cellulari e preannuncia che l’esperienza si dipanerà in circa venticinque minuti, di cui venti minuti in penombra, illuminati solo da un cerchio di luce verde che si riflette al centro della sfera, e cinque minuti di totale buio.
Fin da subito veniamo investiti da un assordante gracidare e frinire, alternato al canto di numerosi uccelli notturni. La voce narrante di Monacchi ci accompagna descrivendo la sinfonia che invade le notti della foresta amazzonica. All’improvviso i tuoni spezzano questa melodia perfetta e il suono della pioggia torrenziale pervade ogni angolo in tutta la sua irruenza; sembra persino di percepire l’umidità sulla pelle.
Ci troviamo al buio, facendo esperienza dei suoni della foresta solo attraverso il solo senso dell’udito; non si percepiscono né i confini dello spazio e del tempo né la vicinanza delle altre persone sedute accanto. L’interiorità si mescola all’esteriorità, come se tutti fossimo immersi in una grande bolla di natura, della quale si percepisce tutta la forza dirompente.
Mentre la voce di Monacchi ci conduce in un’altra foresta incontaminata nel Bacino del Congo e del Borneo, incontriamo i suoni dei frutti gettati dalle scimmie spaventate dai microfoni posizionati sulle piante, ascoltiamo i barriti degli elefanti che emettono infrasuoni per comunicare su lunghe distanze e distinguiamo nitidamente i canti degli uccelli che sembrano generare l’armonia di base di questo paesaggio sonoro.
Il viaggio termina con la proiezione a 360° di alcune immagini delle registrazioni di David, intervallate da una serie di grafici sul cambiamento climatico dal 1700 ad oggi.
L’esperienza sensoriale di Monacchi “Framents of Extincion” è inserita nel progetto Pesaro Capitale Italiana della Cultura 2024; le registrazioni 3D sono ad altissima definizione e sono state raccolte dall’ingegnere del suono dal 2002.
L’intento di Monacchi è di salvare quei frammenti sonori che non si potranno più udire in quei luoghi e di supportare, con un rigoroso monitoraggio sonoro, la ricerca scientifica atta a preservare il benessere del pianeta.
Oggi molti suoni registrati nel 2002 non sono più presenti nelle stesse zone: questo testimonia l’estinzione di alcune specie di animali, soprattutto anfibi e insetti, o il loro spostamento.
L’esperienza immersiva nel paesaggio sonoro acusticamente perfetto, a tal punto da sembrare reale, è auspicabile come vissuto sinestesico, dove l’assenza della vista conduce ad un ascolto totale in una dimensione primordiale e primitiva.
La terminologia “Paesaggio Sonoro”, tradotta dall’inglese soundscape, è una parola coniata dal compositore canadese Rayomond Murray Shaffer, che per primo negli anni 70 ha condotto un progetto di ricerca sui suoni dell’ambiente circostante, in collaborazione con Simon Fraser University.
Il paesaggio sonoro connota un ambiente e si compone di tre elementi principali: la tonica, il suono fondamentale che caratterizza un accordo nella teoria musicale occidentale e che nel paesaggio sonoro assume la valenza di suono, a volte non coscientemente udibile, che caratterizza un luogo; i segnali, ossia suoni molto specifici che caratterizzano in maniera peculiare un determinato luogo, come ad esempio il suono delle campane; infine le impronte sonore, ossia l’insieme dei suoni che si potrebbero isolare e che conferiscono unicità ad un specifico luogo.
La comunicazione sonora degli esseri viventi, supportata dalle recenti ricerche scientifiche, sembrerebbe essere molto complessa, sviluppata e presente tra le specie, molto più del linguaggio parlato e scritto che utilizziamo noi esseri umani, ponendoci così non più tra i primati, ma al pari di tutti gli esseri viventi.
A livello educativo, il paesaggio sonoro è un campo ancora poco esplorato ma in grado di fornire ottimi spunti per i percorsi formativi destinati alle generazioni future. Un esempio pratico di analisi del paesaggio sonoro è il progetto formativo “Gli echi della Natura” promosso dall’associazione Internazionale Dolom.it che ha coinvolto sia alcuni abitanti delle dolomiti a registrare i suoni a loro famigliari e li ha poi catalogati; sia giovani violinisti, che nel 2020 in una passeggiata insieme a visitatori e turisti nel Parco del Cadore, sono stati invitati a registrare i suoni incontrati nel cammino. Un’esperienza anch’essa immersiva, che pone al centro i suoni come promotori della salute in un’ottica saluto genetica e innovativa.
L’idea è quella di restituire al “rumore” la stessa dignità estetica attribuita al suono e di attribuire al silenzio la stessa valenza del suono.
Lo studio del paesaggio sonoro dagli anni 70 ad oggi si è diffuso in svariate forme, ma ancora siamo ben lontani da ciò che Raymond Murray Schafer aveva affermato:
“Io ritengo che migliorare il paesaggio sonoro del mondo sia assai semplice. Dobbiamo imparare ad ascoltare. È un’abitudine che sembriamo aver perduto. Dobbiamo rendere l’orecchio sensibile al meraviglioso mondo di suoni che ci circonda.”
Questa affermazione ci invita a riflettere su una questione ancora aperta: come ascoltiamo i suoni? Con quale predisposizione? Il mondo sonoro può aiutare a comprendere meglio la realtà, portandoci a collegare le nostre esperienze con maggiore consapevolezza e pienezza: provare ad accorgersi che esiste è già il primo passo in tale direzione.
Di Patrizia Caputo