Racconto di una meravigliosa esperienza al Piccolo Museo del Diario di Pieve Santo Stefano
Pieve Santo Stefano, Arezzo
17 agosto 2023
Caro Diario,
è notte fonda e non riesco ad addormentarmi…
sento ancora le forti emozioni che ho vissuto questa mattina, mentre mi trovavo in un luogo meraviglioso, dedicato ai custodi di emozioni e di segreti come te:
il Piccolo Museo del Diario, di Pieve Santo Stefano (Ar).
La storia di questo “Piccolo Museo” è incredibile, sai?
Perché supera i confini di luogo e di tempo e si intreccia in modo profondo e simbolico con la storia del paese che lo ospita.
Ora te la racconto. Anzi, te la scrivo sulle pagine.
Memorie che restituiscono memoria
Nel 1944, durante la seconda guerra mondiale, il paese di Pieve Santo Stefano, in provincia di Arezzo, fu raso al suolo dai tedeschi.
Rimasero in piedi soltanto la chiesa, il palazzo comunale e poco altro…
Negli anni 50 il paese fu ricostruito, ma il suo antico volto e la sua identità ormai si erano persi tra le macerie.
Poi un giorno, da Milano, arrivò Saverio Tutino, un giornalista e scrittore che amava raccogliere memorie, lettere e diari della gente comune proveniente da ogni luogo e da ogni tempo.
Il suo fu un lento peregrinare di paese in paese, alla ricerca di un sindaco disposto a credere, con un pizzico di follia, al suo ambizioso progetto: creare un luogo fisico dove custodire tutte quelle memorie.
Dopo molti ‘no’…Saverio giunse proprio a Pieve Santo Stefano dove il sindaco, nel 1984, disse ‘sì’ al suo progetto, concedendogli una stanzetta del Palazzo Pretorio.
Caro Diario, ti rendi conto di cosa ha significato questo?
Il ‘sì’ di quel sindaco, non solo ha permesso allo scrittore di realizzare un museo davvero unico, ma ha prima di tutto restituito memoria, attraverso la raccolta di migliaia di memorie, ad un paese la cui storia era stata distrutta dalle bombe.
Tremila più Diecimila
La guida del Museo, durante la visita, ha usato parole dense di suggestione e di commozione:
“oggi il nostro paese, Pieve Santo Stefano, conta non solo 3.000 abitanti in carne ed ossa, ma anche altri 10.000 abitanti, che abitano con noi attraverso i racconti delle loro storie”.
In quel preciso momento è come se li avessi visti tutti davanti a me, quegli ‘abitanti’… Con le loro vite vissute durante la Grande Guerra, la Seconda Guerra, con i loro racconti di migranti del passato e di oggi, con le loro testimonianze sulla pandemia del Covid…fino ai giorni più recenti.
Chiunque ancora oggi può portare il suo diario e chiedere che venga custodito in segreto per sempre o fino a una certa data.
I collaboratori dell’Archivio leggono riga per riga, catalogano e digitalizzano,
per fare in modo che chiunque possa poi recarsi sul posto per consultare gli scritti e immergersi nella ricerca.
Chissà, caro Diario, magari un giorno ci porterò anche te…che ne dici?
Il “fruscio degli altri”
Saverio Tutino amava definire le storie narrate in quegli scritti con un’espressione incredibilmente poetica: “il fruscio degli altri”.
Un “fruscio” che, volando fuori dalle pagine, prende vita e suono, oggi grazie anche ad una ingegnosa tecnologia che racconta queste memorie ai visitatori che arrivano da tutto il mondo.
Ora, caro Diario, ti spiego come…
Immagina una parete tutta ricoperta di cassetti di legno: su ogni cassetto, un nome; dentro ogni cassetto, pagine originali di diari, di lettere o piccoli pezzi di carta che spesso venivano infilati nei colletti delle camicie per arrivare ai destinatari durante la guerra;
E poi…appena aperto il cassetto, immagina di ascoltare la voce di un attore teatrale (uomo o donna, adulto o bambino, a seconda della storia) che legge al visitatore lo scritto della persona di cui si è scelto di aprire il cassetto, di cui si è scelto di ascoltare la vita.
Un’atmosfera davvero sognante, sai?
Ti divertiresti tantissimo anche tu a stare lì in uno di quei cassetti di legno colorato a fare amicizia con i tuoi simili…di altri luoghi…di altre epoche.
Luisa: parole che diventano coraggio
In uno di quei cassetti c’è la storia di Luisa, una casalinga vittima di violenze fisiche e verbali, che confida le sue paure alle pagine di un diario che poi troverà il coraggio di consegnare al Museo, insieme alla denuncia della sua situazione…
Una storia di scrittura che salva, una presa di consapevolezza che, attraverso il potere trasformativo della parola, porta Luisa ad un passaggio di coscienza che le cambia la vita.
“Caro Quaderno, ho messo nella facciata la mia foto con tutti i miei dati per sconfiggere ogni tentazione di bruciarti, perché mi guarderò e capirò che tu quaderno sei la vera Luisa nel bene e nel male e rinnegarti sarebbe un suicidio”.
Luisa T.
Vincenzo: la scrittura come bisogno
C’è poi la storia di Vincenzo, un bracciante ‘inalfabeta’ (così si definisce lui) di Chiaramonte Gulfi (Ragusa), classe 1899, che non sa né leggere né scrivere, ma che a 70 anni decide di imparare.
Così per 7 anni si chiude ogni giorno in camera e litiga con la Olivetti di suo figlio perché “sente il bisogno” di scrivere e tramandare la storia della sua vita, più di mille pagine che scriverà interamente in dialetto siciliano.
“Se all’uomo in questa vita non ci incontro aventure, non ave niente darracontare».
Vincenzo Rabito
Clelia: parole che diventano simbolo
E infine c’è la storia di Clelia, anziana vedova che, ricordandosi che gli etruschi usavano avvolgere i loro defunti nelle lenzuola, durante una notte insonne inizia a scrivere della sua intensa storia d’amore con il suo amato e ormai scomparso marito Anteo, sul più bel lenzuolo matrimoniale del suo corredo.
Clelia, prima di morire, deciderà di portare il lenzuolo al Museo affinché quel luogo lo possa custodire per sempre.
Quel lenzuolo oggi è esposto in una teca, simbolo di una storia d’amore eterna.
“Care persone fatene tesoro di questo lenzuolo che c’è un po’ della vita mia, è mio marito. “
Clelia Marchi
Un concorso per le “storie scritte dal basso”
Questa “storia scritta dal basso”, da persone comuni e sconosciute… la più autentica, schietta, quotidiana e sentita, ogni anno viene messa in luce senza i filtri della retorica e senza censure, per far conoscere a tutti il mondo e la società che abbiamo vissuto e che viviamo ogni giorno.
E così, dopo il vaglio di una giuria popolare su un centinaio di diari, nel mese di settembre, a Pieve, una giuria di esperti nomina un vincitore che verrà pubblicato da importanti case editrici come Terre di Mezzo, il Mulino ed Einaudi.
Il vincitore più famoso?
Vincenzo Rabito, lo ‘scrittore inalfabeta’ di cui ti parlavo prima, pubblicato da Einaudi e il cui libro “Terra matta”, ha venduto più di 40.000 copie.
Lui, ormai morto, non sa di essere diventato uno scrittore…
ma i suoi figli oggi sono orgogliosi di lui e sorridono nell’immaginarlo seduto a litigare con la mitica Olivetti, mentre scriveva la storia della sua vita.
Caro Diario, vorrei concludere il racconto di questa meravigliosa esperienza rendendoti partecipe di qualche collegamento che ho fatto tra quanto ho visto oggi e gli insegnamenti dell’Accademia Igea che sto frequentando.
-Ho pensato a quanti Magistri Salutis ci sono tra gli autori di quelle parole,
perché, in momenti di difficoltà e sofferenza, sono riusciti a vedere nella scrittura una risorsa, una forza capace di liberare energia che altrimenti sarebbe rimasta bloccata per sempre.
Con le loro parole hanno osato e immaginato, fino a vivere tutte le “altre stanze del castello” (cit. Elsa Veniani) …
Hanno spesso scritto “parole di bellezza per uscire dall’inferno” (cit. Lucilla Giagnoni)
.. parole che hanno creato e lanciato, nel futuro di un tempo circolare, un intento che per molti è diventata realtà di riscatto e di serenità tanto desiderata.
-Ho pensato a come custodire le memorie di tutte quelle persone a Pieve Santo Stefano, abbia aiutato a recuperare la memoria di un paese che l’aveva persa.
Il Piccolo Museo del Diario è quindi divenuto simbolo di una riparazione sempre possibile e di un ‘riciclo creativo’ dei resti delle sofferenze passate, che è sempre da incentivare in un’ottica di salutogenesi.
-Ho pensato a come un luogo può essere quel luogo, ma nello stesso momento anche molti altri, a come 3000 abitanti possano essere nello stesso momento anche altri 10.000.
Tutto questo, caro Diario, non è forse simile alle particelle quantistiche che sono ‘qui’ e anche da un’altra parte…che sono ‘ora’, ma anche di un altro tempo? Tutto questo non riporta l’attenzione dal ‘perché’ all’ ‘affinché’?
-Ho pensato a come la tecnologia usata per allestire il Piccolo Museo abbia reso suggestivo e denso di emozioni il viaggio all’interno del Piccolo Museo.
Ecco quindi una techne finalmente “figlia” del desiderio di regalare bellezza e che non si è sostituita alle emozioni.
Una techne che ha dato il suo contributo permettendo a un piccolo luogo di raccontare tante storie, ottimizzando al massimo uno spazio, senza però prevaricare e senza rovinare un’atmosfera che doveva trasmettere il passato (uso di proiettori pur mantenendo il contatto con il legno dei vecchi cassetti, tecnologia audio all’avanguardia con la voce degli attori per mantenere umanità).
-Ho pensato al Daimon-Eros di Vincenzo, di Luisa, di Clelia e di tutti gli altri…quella brama, figlia della mancanza che cerca di raggiungere la bellezza e il senso della propria esistenza, che li ha fatti viaggiare dalla crudezza della loro vita concreta al trascendente, dal visibile all’invisibile.
– Ho pensato a quando Lucilla Giagnoni ha ricordato che per attivare la narrazione ci vuole un’urgenza, un’energia esterna misteriosa, esattamente quel bisogno di cui parla Vincenzo.
Ho pensato a quando, sempre Lucilla, ci ricorda che la narrazione “dilaziona la morte” fisica ed emotiva, proprio come è avvenuto per molti degli scrittori del Piccolo Museo.
-E infine, caro Diario, ho pensato a quel ‘fruscio’… a quella voce…a quel suono che pare ancora di sentire e che, in quanto tale, continua a mantenere in vita quelle storie.
Quel logos del principio della Genesi, quel suono che rompe il silenzio, che crea la vita.
Quel logos per ognuno così diverso e che può incontrare la storia odierna di chi oggi ascolta quei racconti, generando salute.
Caro Diario, adesso è proprio ora che io vada a dormire.
Ti auguro la buona notte…
Chissà se sognerò il Paese delle memorie, se aprirò altri cassetti, accompagnata dalle emozioni che ancora sento e cullata dal “fruscio degli altri”.
di Elisa Infante – Piccolo Museo del Diario