1 gennaio 2023
È ormai sera e percorro con la mia auto la strada di rientro da Grondona.
Guido attenta attraverso la nebbia, ma nello stesso momento non smetto di ricordare l’intensità dell’esperienza vissuta durante gli ultimi giorni del 2022 al Quinto Sole, un immenso spazio nella natura dedicato al progetto di conoscenza e diffusione della cultura sciamanica dei nativi del Centroamerica.
Un luogo suggestivo, custodito dalla calma e dalla forza radicata e potente di Alessandra Comneno e di sua figlia Ixchel Ruz, che dopo decenni trascorsi in Messico, grazie ad esperienza e sapienza, sono diventate donne-ponte tra diverse culture e rappresentanti delle tradizioni sciamaniche maya-tolteca dei nativi.
Guido e ripenso a quell’esperienza durata 3 giorni circa, 54 ore per la precisione.
Già, perché noi siamo soliti calcolare la vita in base al tempo: quel tempo che è strumento da noi consegnato in mano al potere, quel tempo che è unità di misura verticale che troppo spesso ci toglie lo spazio e il respiro, quel tempo che è ossessione che ci porta a ricercare ogni modo per allungare la nostra vita e ci fa dimenticare quanto invece sarebbe più importante allargarla.
Ed è proprio al Quinto Sole che ho invece compreso come, anziché contare il tempo, dovrei tornare, come i nativi continuano a fare da sempre, a riconoscere lo spazio percorso (dentro e fuori di me), a contare quanti passi ho camminato su una Terra che mai come in quei giorni ho sentito così Madre.
Guido e ripenso alla domanda che, come ogni anno, anche quest’anno mi sono sentita fare dai miei amici:
“Cosa fai a Capodanno?”
Quando ho risposto che sarei andare a vivere l’esperienza del passaggio verso il 2023 facendo esperienza dei riti della cultura sciamanica, ho raccolto sguardi perplessi e incuriositi.
Ripenso a come risponderei oggi a chi mi ha detto:
“Beh, però in fondo è bello vivere l’esperienza di una cultura che non ha nulla a che fare con la nostra!”
Risponderei che sì, è vero, è stato stupendo vivere questa esperienza, ma direi anche che non è vero che non ha nulla a che fare con noi.
Perché quello che ho vissuto è qualcosa che è inscritto dentro ogni essere umano di ogni parte della terra.
Da sempre, da quando esistiamo noi e i nostri più antichi antenati.
Solo che ce lo siamo dimenticati. Come dicono i nativi, è per questo che noi viviamo: noi viviamo per ricordare.
Noi ci siamo dimenticati della nostra essenza perché sopraffatti da copioni, aspettative e strati di vite apparentemente evolute.
Abbiamo dimenticato quei gesti che da sempre ci collegano agli elementi del Cosmo e che, se praticati, aiutano a far collassare le nostre “vecchie identità” per tornare liberi di essere.
Ecco perché durante quei 3 giorni, io e gli altri compagni giunti lì per fare la stessa esperienza, abbiamo vissuto i riti sacri insiti nello Spirito e nella memoria del nostro corpo, aiutati da Alessandra e Ixchel.
Perché “quando ti ricordi chi sei, puoi guarire”, diceva Abuela Margarita Nunez.
E così, quando al Quinto Sole ho unito le mani alla terra, quando ho sentito la pioggia sulla pelle nuda, riscaldata solo dal fuoco che si elevava alto verso il cielo stellato, quando ho accordato il battito del cuore a quello dei tamburi, quando sono stata in presenza voltando il corpo e lo sguardo verso est, nord, ovest, sud ringraziando gli antenati che mi hanno preceduta e focalizzando un intento allineato con l’universo, quando ho fatto tutto questo, il mio Spirito e il mio corpo hanno ricordato e sono ritornati all’essenza.
Dopo i primi istanti tutto è diventato naturale: il respiro ha ricominciato a fluire e l’anima a commuoversi mentre ascoltava il canto.
E poi il fango, la pioggia, il fuoco e la notte non sono più stati elementi di una natura altro da me, mi hanno ricordato che un tempo sono stati “casa”.
Alessandra e Ixchel, per aiutarci a ricordare, ci hanno guidato in modo splendido attraverso i riti celebrativi del nuovo anno.
Ci hanno spiegato, prima con poche e semplici parole e poi mostrato e fatto vivere (perché sciamanesimo è soprattutto pratica) con gesti concreti e densi di significato, ognuno di questi atti simbolici: la Limpia, la Ricapitolazione, l’offerta alla Pachamama, la Cerimonia del Cacao, il Temazcal, il rito della Sacra Pipa e la creazione dell’Ojo de Dios.
Guido e intanto la mente e il cuore riportano al presente ogni momento:
“In Lak’ech – A La’Ken (“Io sono te, tu sei me”), con il detto Maya che ci ricorda che ognuno di noi è anche l’altro, l’esperienza ha inizio.
LA LIMPIA (pulizia del corpo energetico)
Seduti in cerchio, e poi in gruppi, nella grande casa di pietra con lo sguardo sulla natura, ripuliamo i nostri corpi energetici per entrare leggeri nel nuovo anno.
Non per eliminare l’esperienza, ma per toglierne la densità che appesantisce.
Mani danzanti prima risvegliano il corpo con tocchi leggeri e poi lo liberano da nodi e grovigli di fili invisibili, ma densi.
Ad occhi chiusi, e stringendo tra le dita un ciuffo di tabacco, ripuliamo idealmente anche le nostre 7 grotte: i due occhi, le due orecchie, le due narici, la bocca.
Organi di senso che durante l’anno hanno visto, udito, annusato e assaggiato.
Hanno assaporato la vita per sapere, per conoscerla.
In fondo sapore e sapere hanno la stessa radice.
I nativi lo sanno ed è per questo che per sapere prima assaporano, sperimentano.
Mentre noi, prima di vivere un’esperienza, ci illudiamo di doverla capire.
LA RICAPITOLAZIONE
Il Tolteca ci dice che “vivere non è accumulare”; non solo cose materiali, ma anche pensieri che non lasciamo andare.
“Abbiamo perso il flusso che ci permette di scivolare nell’esistenza e dimenticandoci di essere, siamo finiti a credere che l’importante sia avere”.
Ricapitolare significa togliere questa densità pesante dal nostro corpo fisico ed energetico.
Per il Tolteca noi viviamo con il fine di arrivare leggeri al bardo, all’appuntamento con la morte, senza le valigie piene.
Nel frattempo viviamo in apertura, in presenza, in condivisione, ma dobbiamo imparare a lasciare andare.
Ecco quindi che, ad occhi chiusi, ricapitoliamo quanto accaduto nell’anno: prima, inspirando con il volto girato verso sinistra, cogliamo dalla nostra memoria gli eventi di ogni mese trascorso, poi, rivolgendoci verso destra, espiriamo e lasciamo scivolare via quei pensieri.
L’OFFERTA ALLA MADRE TERRA-PACHAMAMA
Cosa fare di tutta questa densità accumulata?
La Terra, in quanto Madre generosa, è sempre pronta ad accoglierla.
Ed ecco che sotto Nonno Albero, immersi nella scenografia bellissima di una natura silenziosa ma potente, Alessandra ci guida nel rito dell’offerta alla Madre Terra.
Prima ci ricorda, intonando un dolcissimo canto, che “siamo tutti fiori di un giardino” e che “siamo Spirito incarnato e non materia in cerca di Spirito” e poi ci invita a inchinarci alla Terra per adornarla con simboli:
con fiori, con cioccolato e vino di cui è ghiotta, con foglie di alloro e con un wairuru, un seme magico che diffonde amore. Ci esorta a ringraziarla per averci sostenuto nei mesi passati e a invocare il suo solido appoggio per i passi che muoveremo nel tempo nuovo.
“Camina lo que hablas”, ci sussurrano i nostri antenati come intento per il nuovo anno: “Cammina le tue parole”.
LA CERIMONIA DEL CACAO
È ormai l’ultimo giorno dell’anno e per entrare in contatto con la parte più intima di noi, ci prepariamo a vivere la cerimonia del Cacao, pianta sacra, simbolo di contatto con divinità e viaggio interiore nella tradizione maya-tolteca.
Ixchel intona un canto mentre, con un mestolo rigorosamente di legno (“il Cacao non ama il metallo”, ci ricorda Alessandra), il suo movimento circolare, lento e continuo, crea un vortice nel Cacao, che piano piano da liquido diventa più denso, ma che non dovrà mai arrivare ad ebollizione.
Abbiamo trascorso la prima giornata a togliere densità.
Adesso, attraverso il Cacao, è ora di portare il sottile nel denso.
“Solve et coagula” (“Sciogli e riunisci”): in fondo non è questo il principio alchemico che il Cosmo ci sta insegnando attraverso ogni esperienza?
Dopo aver assaporato ad occhi chiusi il Cacao, lasciamo finalmente spazio al Sé di ognuno di noi, che ora si esprime libero con espressioni commoventi di un’essenza ritrovata attraverso la parola, il canto, il ballo e l’abbraccio.
IL TEMAZCAL (Capanna sudatoria)
La notte del passaggio al nuovo anno si avvicina ed è il momento di preparare la capanna per il rito del Temazcal, la cerimonia che simboleggia la morte e la rinascita a noi stessi.
Ancora una volta, solve et coagula.
Alessandra ci ricorda che “ogni cerimonia è composta non solo dall’atto di per sé, ma anche da ogni passaggio precedente e di conclusione del rito stesso”.
E così, ognuno con il suo ruolo, ci mettiamo tutti all’opera.
Prima ripuliamo dalle acque stagnanti la conca scavata nel ventre della terra, l’utero, posto al centro della capanna. Poi disponiamo con delicatezza le foglie umide tutte intorno e infine ricopriamo la struttura di legno sovrastante con teli di lana cotta. Tutto è pronto per la rinascita di mezzanotte.
Sotto una pioggia fine ma insistente, i custodi del fuoco mantengono vivo il fuoco che lancia scintille verso il cielo mentre i canti ci preparano al grande momento.
È ora: l’emozione abbraccia forte la curiosità per un’esperienza tanto antica per la memoria del mio Spirito, quanto nuova per la mia mente.
A carponi, tra le foglie e il fango, entriamo uno alla volta nel ventre della capanna.
Siamo tutti vicini, al buio, sentiamo le nostre presenze solo grazie al respiro e alle parole e ai canti che intoniamo.
È mezzanotte mentre noi richiamiamo l’eredità dei nostri antenati.
Alessandra accoglie le pietre all’interno, las abuelas roventi e scintillanti, con antiche formule di benvenuto nelle nostre vite per questo tempo nuovo. Con la sua voce calma, ferma e potente ci guida alla riflessione sulle tre porte fisiche e simboliche celebrate: quella della mente, quella del cuore e quella del cosco (ombelico).
Il rito del Temazcal, il simbolo della rinascita, ha rigenerato simbolicamente ognuno di noi: in quel ventre siamo morti a noi stessi abbandonando nel sudore le nostre vecchie identità per rinascere simbolicamente a nuova vita.
È ora di uscire dalla pancia della Madre Terra: caldi, umidi e con nuova forza vitale.
Torniamo infine nella grande casa di pietra e ci abbandoniamo stanchi ma felici alla musica, alle danze e al canto, con lo sguardo sul nuovo anno.
La CERIMONIA DELLA SACRA PIPA
Primo giorno del nuovo anno e ultimo di questa fantastica esperienza.
Prima di salutarci Alessandra crea un cerchio per portarci a conoscenza del rito della Sacra Pipa, di cui è Guardiana.
Ci spiega che la Sacra Pipa è composta da un Bastone (inizialmente sostenuto dalla mano destra) e dal Fuoco Sacro (mantenuto nella mano sinistra). Elementi all’origine distinti e separati.
Energia maschile il primo, energia femminile il secondo.
Il fuoco (reale e simbolico) è la donna, che nella cultura sciamanica ha il compito di mantenerlo sempre acceso.
Ecco un altro insegnamento: maschile e femminile sono due entità con un senso e un ruolo a sé stanti e, quando decidono di unirsi, lo fanno per celebrare, per innalzare al cielo il fumo di una preghiera e di un intento comune verso l’alto.
Ed ecco che, una volta uniti fuoco e bastone, ognuno di noi compie il gesto raccogliendo nella propria bocca il fumo della Sacra Pipa per poi soffiarlo delicatamente in una suggestiva nuvola verso il cielo.
OJO DE DIOS E AUGURIO
Dopo la creazione dell’ojo de Dios, una meravigliosa trama di filo blu che abbiamo tessuto e offerto a Nonno Albero in ricordo del nostro passaggio e della nostra esperienza, è il momento dei saluti.
Alessandra e Ixchel, custodi della tradizione e oggi anche un po’ della nostra energia nuova, ci salutano con un abbraccio intenso, augurandoci una “Buona vita e utile esistenza”.
Ora che ho rivissuto anche l’ultimo momento, ritorno al presente.
Guido, sono quasi arrivata a casa.
Nel viaggio di rientro non ho mai acceso la radio.
Nella mente e nel cuore, come sottofondo di ogni ricordo, ancora risuonano le parole dell’ultimo canto intonato da Ixchel:
“Como que no tengo respiro
si tengo todo para respirar?!
Si tengo luna
si tengo estrellas
si tengo el sol
en mi corazón…”
PS Quando passerò dalle parti di Grondona, se vedrò quella che ai più potrebbe sembrare la tipica nebbiolina della zona, nel mio cuore saprò che in verità nebbia non è.
Dopo questa splendida esperienza, nella realtà e nell’immaginazione che si uniscono, per me quella foschia simboleggerà il fumo della Sacra Pipa che dal Quinto Sole eleva il suo sottile, ma potente intento al cielo.
Di Elisa Infante