È una fredda sera di dicembre.
Il pubblico è in coda al Teatro Oscar di Milano per assistere allo spettacolo “Anima Mundi” di Lucilla Giagnoni.
A chiudere la fila, da solo, in silenzio e avvolto in un cappotto troppo largo per la sua figura esile, c’è un uomo di media statura, un po’chino, con la fronte larga e gli occhi azzurri.
Nessuno dei presenti lo nota, nessuno sa che le trame invisibili dell’Universo hanno trasportato quell’uomo fuori dallo spazio-tempo fino al teatro.
Il Teatro, il luogo dell’immaginazione, “l’antenna che intercetta ogni vibrazione per farci entrare in risonanza con noi stessi, con il Cosmo, con l’Infinito.”
L’Infinito, appunto.
Durante uno dei suoi ultimi incontri dedicati alla poesia più famosa di Leopardi (L’algoritmo dell’infinito | Lucilla Giagnoni | TEDxNovara), Lucilla Giagnoni, grandissima attrice e sceneggiatrice del nostro tempo, aveva detto che ogni volta che pronuncia i versi dell’Infinito, le sembra di avere Giacomo Leopardi accanto.
E non è forse vero che, come dice la stessa Lucilla, l’immaginazione è comunque anch’essa realtà? E che quello che immaginiamo con il nostro pensiero, con il nostro cuore, in qualche modo è esistito, esiste ed esisterà?
Ed eccolo lì, allora, Giacomo Leopardi, immaginato e richiamato più volte accanto a lei da Lucilla e quindi riemerso dall’Invisibile in quella fredda sera di dicembre, per contemplare da spettatore il miracolo del “fare Anima”.
Immaginiamocelo, Giacomo Leopardi, mentre prende posto timidamente nell’ultima fila.
Da lì può comprendere e abbracciare tutto: quello che accade sul palco e le connessioni con ogni presente in platea.
Il silenzio cala, il buio scende in sala e Lucilla, nomen omen, accende l’immaginazione dando inizio al suo spettacolo.
Una sceneggiatura che usa codici del futuro per riportare, nel presente, i versi scritti in un passato che oggi non conosce limiti tempo.
Segnali di pulsazione cosmica che dialogano con lei con voce metallica,
un continuo contatto con Futura, la bimba che era in lei, che continua ad essere e che sarà. Futura: “neutro plurale nel quale ci stanno dentro tutto e tutti”.
Lucilla ci ricorda il bisogno di riconnetterci con il nostro soffio primordiale, con la nostra origine e con il Cosmo intero. Per farlo occorre evocare versi e immagini, per tornare a sentire i richiami dell’anima e ritrovarli poi nella vita quotidiana.
Come?
Osservando il volo di un insetto, un fiore, il mare, la salvia sul balcone.
E seguendo gli artisti, soprattutto i poeti, come Leopardi, che da sempre cercano di tradurre il respiro dell’anima del mondo con le parole.
È così che si fa Anima.
Se avessimo potuto osservare Giacomo, quella sera, mentre contemplava lo spettacolo e il suo Sé portato in scena da Lucilla, avremmo potuto scorgere piccoli e delicati cenni di emozione.
Si è commosso Giacomo, quando Lucilla ha parlato dell’inizio del Tutto.
Di quando nel buio la vibrazione ha interrotto il silenzio e il Cosmo si è incarnato nei poeti, nel suono dei loro versi.
E di come i poeti, appena generati, hanno iniziato ad inspirare Universo e a restituirlo in canti e in forma di poesia.
Già, perché i poeti “inspirano ed espirano poesia e così facendo continuano la creazione e fanno anima.”
È rimasto in contemplazione Giacomo, quando Lucilla lo ha ricordato seduto alle pendici del Vulcano, mentre osservando un piccolo fiore, aveva compreso che tutti siamo ginestra, che la natura è madre e non matrigna e che non è lei a fare del male a noi, ma semmai il contrario.
E che facendo del male a lei, facciamo male a noi stessi. Perché l’uomo non è separato dalla natura, l’uomo è natura.
E quando l’essere umano scomparirà, la natura sarà ancora lì, “con i fiumi che non si stancheranno mai di correre e le stelle che non smetteranno mai di nascere e tramontare.”
Ha annuito Giacomo, quando Lucilla ha ricordato che anche la scienza per scoprire e riscoprire il mondo deve avere un occhio un po’ poeta.
Perché solo l’occhio del poeta può cogliere quell’invisibile che non vuol dire che non esiste solo perché l’occhio umano non può vederlo.
Ha sorriso Giacomo, quando Lucilla ha ricordato la passione del poeta per il gelato e i dolci.
E ha sorriso quando l’ha vista recitare i suoi versi a tratti incurvandosi e facendosi più piccola.
Sembrava un po’ lui con la gobba, avrà pensato Giacomo, o forse quella gobba era solo un modo per imitare la forma del cerchio che tutto include e tutto comprende.
Come l’anima nobile e sensibile di Giacomo, che con uno sguardo circolare partì dalle pendici del Vulcano per poi poggiare lo sguardo sulla ginestra, poi sulla cima del Vulcano, poi sulle stelle, e poi di nuovo, chiudendo il cerchio, tornando a contemplare la ginestra.
È tornato a vivere in un racconto Giacomo, nella storia del nipotino di Lucilla, che si chiama come lui, Giacomo, e che con gli occhi sgranati, in un momento di saggia intuizione come solo un bambino e il nostro sé bambino può avere, a 3 anni ha esclamato: “So così tante cose, che non me le ricordo tutte!”
Una saggia consapevolezza dell’anima che percepisce il collegamento con il Tutto e che poi, crescendo, la “mente che misura” soffoca e ricopre, ma che facendo silenzio e tornando ad ascoltarci, possiamo ritornare a intuire.
È tornato a guardare oltre la siepe Giacomo, notando che ancora oggi, come ai suoi tempi, quello che capita sulla terra, rispecchia in modo olografico ciò che avviene in quel campo morfogenetico dove solitamente abita sospeso.
“Come è in cielo così è in terra, in alto come in basso, l’universo è un tessuto di filamenti e nodi.”
Le radici e i miceti sembrano i microtubuli dei neuroni, la porzione del cielo
che ci contiene (Laniakea, come apparsa da un recente studio dell’Università delle Hawai nel 2014) sembra un cuore infinito denso e luminoso.
Quella sera è tornato ad inspirare ed espirare poesia Giacomo, attraverso i suoi stessi versi a cui ha ridato voce Lucilla citando i Pensieri, lo Zibaldone, e le parole senza tempo del suo Infinito.
Ma Giacomo, quella sera, non era in platea solo per stare accanto a Lucilla.
Era lì per ognuno di noi.
Perché “abbiamo bisogno dei poeti per evitare l’estinzione.
Abbiamo bisogno di immaginare l’inimmaginabile.”
La nostra missione è fare! Fare poesia, fare anima, fare mondo.
Per onorare quei tre miliardi di battiti del nostro cuore, battiti che l’evoluzione ha donato all’uomo in misura maggiore rispetto a quelli di altri animali.
Non possiamo sprecarli, non possiamo perdere l’opportunità di creare più musica, più suoni, non possiamo, con quei battiti in più, perdere l’occasione di trasformare la nostra vita in quella che i popoli indigeni chiamano una “utile esistenza”.
Finito lo spettacolo, le luci sono tornare in sala e Lucilla è scesa in platea per salutare il suo pubblico con la stessa energia e luce che emana sul palco.
Giacomo, non visto dai presenti, ma sicuramente percepito dall’anima di ognuno, si è allontanato silenzioso per tornare nell’Invisibile, in quell’Immaginazione di cui noi umani abbiamo sempre più bisogno.
Per respirare, per creare, per fare Anima.
Di Elisa Infante